TORX Trail Running Races 6-15 Settembre 2024

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LAST DAY – IMPRESSIONI DELLO SCRITTORE 2019

IMPRESSIONI DELLO SCRITTORE 2019 | SARASSO AL TOR 2019

LAST DAY - Goodbye TOR X

 

Quel che si dice un finale col botto, signori e signorine.

Senza se e senza ma.
Forse qualche voce vi è giunta perché, si sa, le voci corrono ben più veloci dei finisher, ma lasciate che vi racconti il mio finale di partita con sorpresa.
Sabato mattina sveglia presto, con tre ore di sonno appena sul groppone e ritiro pettorale nel centro di Saint-Rhemy. Sono il primo: le deliziose volontarie mi allacciano il braccialetto e torno nella mia casina a preparare zaino e valigie.
Dormo ancora un'oretta, e mi sveglio carico a molla.
Sulla linea di partenza incontro gli amici di Novara Che Corre (Edo, Andre e Marina) e, non appena la musica esplode, siamo pronti per dare del gran gas.
Conto alla rovescia e si va!
C'è il cancello del Merdeux a due ore, e sono un filino preoccupato, per cui spingo un po': sono in gran forma, i bastoncini rampano e le mie gambe volano.
Sorpasso perfino un sacco di persone. Ed è strano, perché di solito sono (tutti) gli altri a sorpassare me. Ma oggi gira così. E son felice!
Passo il cancello quaranta minuti in anticipo, e in due ore giuste son su al Frassati. Ad accogliermi ci sono Lisa e Paolo, ovvero Lisa Borzani e suo marito Paolo Pajaro, amici meravigliosi.
Paolo mi saluta chiamandomi "dottore", e Lisa mi dice di darmi una mossa, dopo avermi riempito il bicchiere di deliziosa coca.
La ascolto senza discutere - non si discute con una Regina del TOR - e punto cattivo al Malatrà. L'ho già fatto di notte, questo colle indescrivibile e magico.
Siamo in tanti, e fa un certo effetto salire in fila indiana appesi alle corde azzurre.
Dietro di me sento i gemiti di fatica di una concorrente asiatica, davanti un fotografo dai capelli rosso fuoco mi accoglie chiamandomi per nome.
È splendido essere qui, al centro del mondo che mi ha fatto innamorare.
È splendido far parte di questa meraviglia.
Son passate solo tre ore dall'inizio dell'avventura e le gambe girano ancora a dovere.
Viaggio a tutta birra (analcolica) e incrocio un mucchio di gente. Quando mi fermo su un sasso per cambiarmi i calzini, Giovanni Storti mi chiede se è tutto ok. Sollevo il pollice: davvero tutto alla grande.
Probabilmente sto facendo la miglior gara della mia vita.
È proprio allora che tutto esplode.
E il cielo mi crolla addosso.
Un sasso, probabilmente.
O un avvallamento, vai a sapere.
Sta di fatto che un attimo prima sono in piedi, sudo, sbuffo e corro.
Quello dopo il terreno mi viene incontro per prendermi a pugni in faccia.
L'impatto è crudo, la botta stratosferica.
Vado giù dritto, non riesco nemmeno a proteggermi con le mani.
BUM!
Si fermano un paio di concorrenti a darmi una mano, il conto dei danni è presto fatto: graffi qua e là, un po' di sangue su mani e ginocchia, ma è la spalla destra che proprio non collabora.
Mi rimetto in piedi, e proseguo come posso, a passo di bradipo. Sento un po' di "cric-croc" all'altezza dell'omero, ma penso che fermarsi su un sentiero sotto al sole, nel bel mezzo di una gara, non sia l'idea del secolo.
Ergo, cammino per qualche chilometro ancora fino alla barma Arminaz.
È una casupola di pastori, e quei pastori sono degli angeli.
Chiedo il permesso di sedermi su una panca, e loro mi accolgono a braccia aperte. Vengono dalla Romania, e sono in valle da qualche anno. Vivono circondati dalla bellezza, e hanno sorrisi che non puoi scordare.
Sotto al tavolo accanto alla panchetta su cui sono abbarbicato, c'è una cagnolona con una nidiata di cuccioli. Hanno le zampone impacciate e la lingua rosina.
Non fanno che rotolare e morsicarsi.
Chiamo il numero di emergenza scritto sul pettorale e dall'altra parte c'è la voce di Alessandra Nicoletti.
"Sarasso, che hai combinato?"
Glielo spiego.
"Stai lì tranquillo, ci pensiamo noi. Ti mando una guida con un medico dal Bertone, e poi vediamo il da farsi, ok?"
Provo a dirle che, se mi rimettono in sesto, io poi scendo con le mie gambe.
Senti mo' che ganassa...
Alessandra, con voce paziente, mi dice: "Stai lì bravo e lascia fare ai professionisti"
Mi sa che è meglio...
Quindi me ne sto là, su quella panca all'Arminaz, a chiacchierare di mucche panciute e cagnolini bellissimi con la mia ospite nata a pochi chilometri da Bucarest ("nella città in cui hanno ucciso Ceaușescu").
Il dolore inizia a farsi sentire sul serio.
Io tengo botta e continuo a osservare il via vai di concorrenti e trekkers, con una punta di magone.
Sul sentiero passano tre scope, che mi notano un po' mogio e decisamente malmesso. Si avvicinano, e mi chiedono cos'è successo.
Poi, siccome anche loro sono tre autentici angeli, si fermano a tenermi compagnia.
Non ricordo i nomi di tutte, ma posso dirvi con certezza che si tratta di donne straordinarie.
Mi parlano, richiamano la base, si prendono cura di me.
Silvia mi dice che è di Fossano, e io le rispondo che ci sono andato in dicembre, a Fossano, per il trail del Pescatore (che, guarda caso, è organizzato dai suoi amici. Il mondo è davvero minuscolo). Sono andato così forte che mi hanno tagliato fuori dal cancello dei 18k. Paolo (Pajaro) che correva la lunga, è riuscito (senza spingere) a sorpassarmi sul rettilineo tagliando il traguardo prima di me.
Ridiamo, e Silvia ha gli occhi belli.
Sono felice che sia qui, anche se ci conosciamo solo da mezz'ora.
Soprattutto quando i miei occhi - che tanto belli non son mai stati - si appannano e di colpo perdono il contatto con lei e il mondo intorno.
Sto svenendo per il dolore, ma mica me ne rendo conto.
I miei angeli custodi, però, son là a vegliare su di me. E mi sollevano le gambe, mi danno acqua e zucchero e alla fine non svengo.
Una specie di miracolo!
Arriva la guida, accompagnata da un'infermiera gentilissima.
Mi danno qualcosa per il dolore, poi mi dicono di star giù: tra poco sarà qui l'elicottero.
Non avevo mai visto atterrare un elicottero (mamma mia che vento!) Ma, soprattutto, non ci ero mai salito.
Non so se la botta di emozione è merito dei farmaci che mi sparano in vena o, più probabilmente, dalla visione delle mie montagne dall'alto, ma sta di fatto che sono estasiato. E un pochino spaventato, ma non lo do a vedere perché sono un duro, io.
Al limite, chiudo gli occhi in discesa.
Ma sfoggiando una certa baldanza.
Ecco.
Atterriamo ad Aosta e mi caricano sull'ambulanza. Un infermiere fichissimo ha la cintura con le borchie (rock'n'roll!) e mi regala una bottiglietta di acqua gas. Che benessere!
A seguire, radiografie, un po' di manutenzione dei graffi, un bel tutore e via.
Mien e Erik (fraterno amico di Bosses) vengono a prendermi con la mia macchina e andiamo a Pre San Didier.
Là, il mio Barba DJ (santo subito!) mi aiuta a farmi la doccia e vestirmi, dopodiché Andrea, compare di NCC (e finisher del TOR30 con un tempone!), guida la mia auto fino a casa.
Alle undici sbarco nella mia magione novarese, accolto dalle fusa di Liquirizia, la mia gatta color della notte.
Nelle dodici ore successive, sono travolto da una ridda di emozioni pazzesche: gioia, dolore, tristezza, euforia, e una valanga d'affetto.
Decine di messaggi da tutta la Valle (e non solo): volontari, gente dell'organizzazione, atleti, amici, angeli.
Mi scrive Guendalina, che si gusta un gelato a Niel col suo uomo, finisher del Glacier (onore a voi, giganti!), mi telefona Christian, incrociato alla Gruba e carico d'incoraggiamenti preziosi, e poi Lisa (preoccupatissima), Franco, Alessandra (un tesoro), Erica, Silvia, la mia amica del cuore Benny, Lillo e tutta Novara Che Corre, la mia seconda famiglia.
Sono triste e grato quando, l'indomani, guardo in diretta le premiazioni.
Triste perché non sono lì, in mezzo ai miei meravigliosi fratelli e sorelle.
E grato per tutto l'amore che il TOR ha saputo regalarmi, ancora una volta.
Ok, non è finita come me l'ero immaginata. Ma non importa.
Quello che porto a casa da questi dieci giorni non potrò mai scordarlo.
Il dolore passerà, la spalla guarirà e mi scorderò del male.
Ma la meraviglia, signori e signorine, resterà proprio qui, al centro di questo cuore azzurro e malandato, per sempre.
Ancora una volta: grazie, TOR.
La vita, senza di te, non sarebbe la stessa.

Aggiornato: Mer, 18/09/2019 - 13:03