Come tutti, la sera prima della partenza, disfiamo e rifacciamo la borsa gialla nel tentativo di infilarci tutto il necessario. Ma lo spazio è limitato e devi decidere cosa lasciare a casa e cosa portare con te.
La stessa cosa accade ogni volta che arrivi ad una base vita, apri la borsa gialla, ti cambi, scegli cosa caricarti sulla schiena per le prossime 20 ore e cosa lasciare a terra.
Il Tor ti obbliga a scegliere tra cosa è indispensabile e cosa no.
Ed è una lezione importante da imparare: troppo peso dietro ti rallenta, troppe poche cose mettono a repentaglia la tua incolumità.
Al Tor devi imparare a sacrificare la comodità per l'efficienza. Devi imparare a rinunciare a tutto quello che non è indispensabile e, cosa importante e per nulla scontata, devi imparare a distinguere tra ciò che è necessario e cosa no.
Questo minimalismo viene elevato a regola di vita durante il Tor e anche le persone che sono sul percorso, che siano incontri casuali o amici venuti a sostenerti, percepiscono le cose di cui tu davvero hai bisogno in quel momento.
E ti offrono un frutto fresco, un abbraccio, una maglia extra, una parola di sostegno o solo l'occasione per distenderti su un prato e chiudere gli occhi per 10 minuti.
E ancor di più il discorso si fa importante quando si parla di sentimenti.
Il Tor è un setaccio dell'anima. Devi lasciare dietro a te tutto quello che non è fondamentale.
La presunzione di un risultato. L'orgoglio dell'esperienza. La vanità dell'apparire.
Il sentiero, fin dalla prima salita, ti insegna che non devi portare pesi extra, siano essi fisici o metafisici.
Chi non ha l'umiltà di accettare con riconoscenza ogni chilometro che si trova davanti, ogni salto di roccia, ogni torrente da guadare, non ha speranze di arrivare indenne alla fine.
E impari che avere l'anima leggera è più importante di uno zaino da top runner...
Franz Rossi