Questo qui è il Mario.
Appena sono arrivato al rifugio Bertone l’ho visto seduto a uno dei tavoli esterni mentre intratteneva alcune persone.
Mario è uno che dà il benvenuto a tutti e così, da sotto il suo cappellino con la visiera, non mancava di salutare chiunque passasse per il rifugio. A quelli che correvano il Tor des Géants invece, gli batteva le mani e gli diceva ‘Forza!’ ed era quasi sempre il primo a farlo. Il primo ad accorgersi del passaggio dei corridori, stravolti. Un ‘Forza!’ così, detto da uno così, è un ‘Forza!’ che ti incoraggia davvero.
“Quanta invidia che mi fanno questi qui” mi ha confidato il giorno dopo, quando ormai eravamo diventati amici.
“Loro possono farsi questa corsa e girarsi tutta la Valle d’Aosta, e andare su e giù…andare in quota. Io non posso più, me l’ha detto il dottore, non potrei andare sopra i 1.800m, ma ogni tanto ci vado… Che invidia però.”
Il Mario è uno che al rifugio lo conoscono un po’ tutti, non perché sia sempre lì ma perché capita spesso di incontrarlo in giro per le montagne, in diverse zone della regione.
Il Mario è un po’ vagabondo o, perlomeno, questa è la sensazione che ho avuto io. Per molte cose mi è sembrato simile a me, forse è un po’ come vorrei essere io da vecchio o, forse, neanche da troppo vecchio.
Ci siamo limitati a scherzare e prenderci un po’ in giro senza la necessità di approfondire troppo chi fossimo o da dove venissimo.
Io gli ho detto che ero lì per scrivere e scattare qualche foto, lui mi ha detto che gira per montagne e rifugi ma che ormai è rimasto solo e che ‘magari un giorno ci facciamo un giro insieme’.
A me questo giro con il Mario mi piacerebbe farlo davvero un giorno e cercare di capire, o addirittura chiedergli, dove la trova lui la forza di andare ancora in montagna e di andarci con tutto quell’entusiasmo.
Il Mario compie novant’anni tra un paio di mesi e per arrivare lì al rifugio si è fatto 755m di dislivello per applaudire e incitare gente che gli fa un po’ invidia.
Mario, in pantaloni corti e giacchetta smanicata, se ne è stato fuori a far compagnia ai volontari che registravano i passaggi dei corridori, alle quattro del mattino, dopo aver dormito qualche ora in rifugio buttandosi sotto ad un paio di coperte.
Il Mario mi ha fatto un gran regalo che nemmeno lui sa di avermelo fatto, anzi, me ne ha fatto più di uno, perché ogni risata con lui è stata sincera per entrambi.
Mi ha regalato l’emozione del vero entusiasmo per i momenti donati e accolti con gioia e la naturalezza che accompagna gli incontri più semplici.
Mi ha reso consapevole del tempo che ancora ho ma anche del valore che voglio dargli; dell’utilizzo che voglio farne. Dell’entusiasmo cui voglio ambire.
Pensare che potrebbe capitarmi di non vederlo più, il Mario, mi impensierisce ma mi fa anche sorridere.
Forse per me, come per lui, è importante vagabondare e crearmi la possibilità di incontrare tanti, unici, Mario capaci di farmi ridere e farmi riflettere; farmi preoccupare, mettermi in discussione e ispirarmi; farmi venire questa voglia di saper trasmettere le emozioni che generano in me. Di saperle scrivere, le loro e le mie emozioni.
Il Mario, tra l’altro, mi ha regalato una penna.
Luca Albrisi
Foto: Alfredo Croce