“Tra allucinazioni ed emozioni”
Gigi Riz è stato l’ultimo finisher alla 1° edizione del Tor des Géants.
Più osannato del vincitore e, da allora, volto simbolo del giro dei giganti.
Ogni volta, arrivato al traguardo, dice: “Basta, questo Tor è l’ultimo”. E poi invece, immancabilmente, si iscrive nuovamente l’anno dopo, migliorando ogni volta la sua performance.
C’è chi dice che abbia cambiato faccia, da allora. Da quella sua prima volta al Tor.
“Il mio primo Tor è stato una sfida con me stesso e con gli amici. Quasi una scommessa. Molti erano increduli. “Impossibile arrivare in fondo a una gara così dura”, dicevano. E io ho accettato, per dimostrare che questo giro era possibile. Anche per una persona normale che ama la montagna e la vive da anni”.
56 anni, maestro di sci a Courmayeur e giardiniere, Gigi è trentino d’origine e valdostano d’adozione. Ha la montagna nel sangue e il sole in viso. Un omone bonario, che accoglie tutti con un sorriso e con le sue grandi mani accoglienti. Ormai al TDG lo conoscono tutti.
“La mia scalata ai Giganti?
Il 1° Tor l’ho corso allo sbaraglio. Nel vero senso della parola. Ero eccitato dall’attesa e preoccupato per non sapere a cosa andavo incontro. Ho lottato, anche contro il dolore a un ginocchio. L’ho finito, con le allucinazioni. Vedevo seggiovie inesistenti, frane che mi travolgevano, persone che mi facevano compagnia lungo tratti di percorso e animali fantasma che comparivano all’improvviso sul sentiero.
È stato un massacro. Ho tagliato il traguardo dopo 149:58’:03” di gara, a poco più di un minuto dal tempo massimo consentito delle 150 ore. Sono arrivato ultimo e mi hanno chiamato eroe.
Nonostante la gioia e l’emozione, al traguardo mi son detto: ‘Mai più!’ Invece poi…
Il 2° Tor è andato molto meglio, come prestazione.
Il 3° Tor è stato esaltante: per la prima volta mi sono divertito partecipando alla gara. Le prime due sono state sofferenza.
Ho vissuto la prima parte della gara in compagnia, con la moglie e gli amici, e accompagnando il nostro Presidente fino a Rhemes. Poi solo.
Mentre corro mi scorre davanti agli occhi tutta la mia vita, rivedo il passato e immagino il futuro, con un sottofondo della musica che ascolto. La scenografia e la Valle d’Aosta, con i suoi paesaggi mozzafiato. È questo il mio Tor.
Sono stato fermato due volte, prima a Gressoney e poi a Champoluc (prima per la frana, poi per la neve). Due belle occasioni di riposo. Soprattutto dopo Cogne ho vissuto, a sorpresa, una vera escalation di posizioni. Ho tagliato il mio traguardo a Saint Rhemy in 193° posizione, che, ripensando all’ultima posizione del mio primo Tor, non è male come risultato.
E per l’ennesima volta ho detto basta. Ora ho l’inverno per ripensarci. Vedremo.
Cosa penso del Tor dopo tutto questo? Che sia una gara alla portata di tutti, fisicamente allenati. Il problema è l’aspetto psicologico. È la testa che a un certo punto ti abbandona. E lì te la devi davvero vedere solo con te stesso. Non tutti sono in grado.
Sogno di scrivere un libro sul Tor. Anche se forse non basterebbe per raccogliere tutto questo marasma di sensazioni e piccoli aneddoti, vissuti da trailer e volontario, di questa gara incredibile. Ma anche qui, vedremo.
Ci ritroviamo al prossimo Tor,
anche se non so ancora, da quale parte della linea di partenza…”
Intervista di Sara Annoni,
dopo il TDG 2012