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DAY 7 – IMPRESSIONI DELLO SCRITTORE 2019

IMPRESSIONI DELLO SCRITTORE 2019 | SARASSO AL TOR 2019
DAY 7 – GIOVEDì 12.09.19

Il risveglio col sole alto è un privilegio mica da poco.

Specie in questo TOR che sembrava essere uno dei più freddi di sempre. E invece, niente è scritto.

Apro gli occhi a Champoluc, con una sete siderale.

Ieri sera le mie abitudini cittadine hanno avuto la meglio sul gourmet cialtrone che alberga dentro di me, e al posto di polenta e affini, ho mangiato la mia solita pizza col salame piccante. Risultato: mi son svegliato col Sahara nella gola. Ergo, litri di acqua gasata e via a far colazione.

Ma prima, proprio un secondo dopo il suono della sveglia, ecco che il telefono cambia tono, e la voce di Benny mi dà il buongiorno: “Sarasso, dove sei?”

“A letto”, le rispondo con la voce da troppe sigarette.

E, inevitabilmente, mi sento in colpa. Perché Benny è tutta la notte che cammina.

Una volta ucciso il mostro di Gressoney, si è regalata una doccia infinita (“Ho anche indugiato parecchio col phon, ti dirò…”), un pasto come si deve e poi è ripartita. Un’ora e qualcosa in anticipo sul cancello dei suoi incubi.

Il resto del buio, per me è trascorso in un attimo.

La sua è stata la notte dei tanti eroi e delle tante eroine ancora in gara.

Alcuni mesi fa stavo parlando di TOR con un’amica assai forte. E le facevo i complimenti per la prestazione.

Chiuderlo nei primi quattro giorni non è proprio da tutti, lo sapete.

Lei mi aveva sorriso, poi aveva scosso la testa: “Andar forte costa impegno e fatica, non si discute. Ma chi lo chiude utilizzando tutte le ore a disposizione o quasi, sta in giro quasi il doppio del tempo. Hai in mente cosa significhi farsi quattro, cinque o addirittura sei notti all’aperto? Magari sempre a filo dei cancelli, con l’ansia di starci dentro al pelo, e l’impossibilità di dormire in Base Vita per più di un’ora?”

Non ce l’ho davvero.

So solo che cado a pezzi se faccio le ore piccole per tre o quattro sere di fila. Il Professore non ha più vent’anni. Lo dico sempre ai miei allievi.

“Sono quelli i veri eroi” ha continuato la mia amica. “Sono loro i giganti”.

Quando mi ha detto queste parole, le ho capite e non le ho capite.

Ora che sento la voce di Benny al telefono, triturata dalla fatica eppure ancora in piedi, di colpo so che la mia amica aveva ragione.

“Dove sei?” le domando tirando su il sedere dal letto in quattro e quattr’otto (inesorabilmente smosso dal senso di colpa)

Me lo dice. “Sei quasi arrivata. Veniamo a salutarti in Base”.

Mien è sveglio e pronto in un attimo (non so come faccia: nella via precedente dev’essere stato un incursore siberiano. O un Minute Man), io come al solito c’impiego una vita. Ma alla fine son pronto e le valigie riempiono il bagagliaio.

Colazione in pasticceria, e si sbarca al punto di controllo. Benny dorme, ma ha chiesto una sveglia alle 10.15 e Paola, uno dei tanti angeli in maglia giallonera che vegliano sugli eroi di polvere e sassi, si è appuntata l’ora sul taccuino.

Mien e io ciondoliamo fino all’istante X, e nel frattempo incrociamo arrivi e partenze.

Gli Alpini son sempre compatti, e fichissimi da vedere in battaglione, nonostante la stanchezza.

Dietro le mie spalle sento che qualcuno domanda alle volontarie se, per caso, abbiamo una sigaretta.

Loro, gentilissime, dicono che non ce l’hanno. “Ma chi è che ancora il vizio, ormai?” dice una di loro sorridendo “Han smesso tutti da anni, non si usa più”.

Al che alzo la testa e noto che il tizio che ha domandato l’indomandabile: ha addosso un pettorale striato di giallo.

“Vuoi da fumare?” gli chiedo, d’istinto.

“Di brutto” mi risponde lui.

Così, senza pensarci due volte, gliene porgo una e gliela accendo.

Lui mi ringrazia e s’incammina a passo felice e spedito.

Nella mia squadra, coi compagni si scherza sempre su questa faccenda che io corra e fumi.

Lo so da me che è una pessima abitudine, ho abbastanza primavere sulle spalle.

E che fa malissimo, e si muore, e sarebbe meglio non aver mai iniziato.

Eppure, per quanto mi riguarda, è un piacere… è parte del mio viaggio.

Ho guardato negli occhi di quel gigante, quando ha fatto il primo tiro. E ho visto lo sguardo di un uomo straordinario, straordinariamente felice.

Quella sigaretta scroccata è parte del suo viaggio.

Che lui, come tutti, del resto, è libero di viversi come vuole, nel rispetto delle regole di gara, della natura e del prossimo.

Proprio mentre son lì che rimugino su faccende belle grandi come libertà, sogni, salute, etc.etc., ecco che Benny spunta dal dormitorio. È stravolta, ma pronta a ripartire.

Attendiamo che si prepari, poi le auguriamo il meglio e la osserviamo riprendere la via del Grand Tournalin e siamo fieri del modo in cui calpesta l’asfalto, metro dopo metro.

Mien e io seguiamo le bandierine gialle per un po’, ma poi c’inerpichiamo verso il Lago Lechien.

Vien fuori un giro onesto e poco impegnativo, che ci distende i muscoli (senza demolirli. Questo vecchietto fuori allenamento ha pur sempre una gara, sabato!) e ci riporta all’auto, sei ore dopo.

Quando, trenta minuti più tardi, parcheggiamo dalle parti di Saint Vincent, Benny è già oltre al Col di Nana.

Ceniamo a base di verdure e acqua di fonte, sfogliando vecchie foto.

Come al solito faccio tardi a scrivere e a guardare la luna.

Proprio mentre sto finendo il pezzo, il cellulare vibra: è un messaggio di Alberto, il fratello di Benny (che la segue ovunque, facendole assistenza): “Ciao. Benedetta partita da Valtournenche alle 20”.

Il viaggio continua, e la linea della partenza e del traguardo, prima lontanissime, ora sembrano sovrapporsi.

Un passo dopo l’altro.

Un’altra notte di resilienza e sogni giganteschi, come l’astro d’argento che mi sorride dalla finestra.

Buonanotte, Benny.

Buonanotte, TOR.

Non mollate mai, mi raccomando.

Ci si legge domani da Bosses.

Aggiornato: Gio, 12/09/2019 - 00:00