TORX Trail Running Races 6-15 Settembre 2024

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DAY 6 - IMPRESSIONI DELLO SCRITTORE

IMPRESSIONI DELLO SCRITTORE 2019 | SARASSO AL TOR 2019
DAY 6 – MERCOLEDì 10.09.19

Giornata danzante, signori e signorine.

E non solo per la selection musicale che il mio Barba DJ mi propone mentre percorro tanti, tantissimi chilometri in auto.

Oggi si balla perché oggi è il GRAN GIORNO. Il giorno in cui un eroe del dislivello sarà incoronato re.

Mien e io ci svegliamo presto: abbiamo un impegno ad Aosta e c’è un po’ di strada da fare.

Sul groppone ho tre ore di sonno appena: ieri notte ho fatto tardi alla Gruba, e poi ho tirato le quattro e mezza per raccontarvi la magia di Guendalina.

Ne è valsa la pena, è stato un piacere immenso condividerla con voi.

Il bello di  questo strano mestiere che io vivo ogni giorno come un immenso privilegio è tutto qui: lasciarsi travolgere dalle storie, dar loro la caccia e fissarle a tarda notte battendo sui tasti, per permettervi di leggerle sorseggiando il caffè del mattino.

La mia fatica, in confronto a quella dei giganti, è un nonnulla.

Eppure mi fa sentire parte di questa magica follia che il mondo conosce col nome di Tor des Géants.

Ma torniamo al nostro viaggio.

Il mio fratello di sangue e io ripartiamo per Courma dopo qualche messaggio scambiato in un parcheggio con Erica, una delle autentiche anime dell’organizzazione: Braccio di Ferro Bosatelli ha appena scollinato il Malatrà. C’è da darsi una mossa.

Guido, parcheggio e abbiamo appena il tempo d’un caffè, poi ci precipitiamo lungo l’acciottolato che conduce al traguardo.

Una manciata di minuti, il tempo d’una sigaretta rosicchiata dal vento e il re fa il suo ingresso.

Oliviero ha gli occhi gonfi, ma un sorriso d’oro puro.

La musica, le ragazze in costume tradizionale, le campane, le foto, l’alloro.

Tre giorni e meno di quaranta minuti fa, Braccio di Ferro partiva da qui.

E ora rieccolo, ad agguantare una vittoria meritatissima che mette d’accordo tutti.

Bosatelli è il Loris Capirossi del trail: cuore infinito e gambe d’acciaio.

Un carattere prezioso quanto i Gioielli della Corona.

“Quando ti sei reso conto di avercela fatta?” gli domanda Gadin.

“Sulla linea del traguardo” risponde il re.

E davvero non c’è altro da aggiungere.

Migliaia di persone sono orgogliose dell’impresa che ha portato a termine.

Io, di certo, sono tra quelle.

Mien e io trascorriamo un altro po’ di tempo nei dintorni, beviamo qualcosa con un paio di amiche e i loro bellissimi bimbi, e poi ripartiamo.

Di strada da fare ce n’è un bel po’.

Io non amo l’autostrada. Specie qui, in Valle, perché taglia fuori il meglio.

Così, lascio che il mio Renegade rotoli chilometro dopo chilometro lungo la statale fino a Champoluc, attraversando alture e colli, su e giù per l’asfalto infuocato. Ammiro i castelli e assaporo caffè e pasticcini durante le soste. Non supero mai, neppure se un trattore lentissimo si piazza davanti a noi per un bel pezzo.

Mi godo il viaggio.

È così che amo vivermela.

Giunti a destinazione, prendiamo possesso dell’appartamento all’ora dell’aperitivo, ma non ho voglia di San Bitter: un sonno massiccio mi maltratta da tutto il dì. Così mi corico un’oretta mentre il mio socio va a salutare un’amica che vive da queste parti.

Quando mi sveglio, mi piacerebbe raccontare che sono come nuovo, ma sarebbe una licenza poetica, diciamo così.

Una doccia mi rimette al mondo, ma è la pizza che mangio poco dopo il mio autentico premio da finisher.

Helene, la proprietaria del residence dove alloggiamo, si offre di darci uno strappo al Grand Tournalin alle dieci di sera.

Ci penso un po’, ma poi mi ricordo che domattina presto attacchiamo il Pinter, e decliniamo l’offerta.

Un giro veloce in Base, prima di rientrare a scrivere.

Il punto di accoglienza è ricavato in una scuola dell’infanzia.

Gli atleti ingombrano le panche a ridosso della cucinetta in legno chiaro.

Nei bagni, i ganci per gli asciugamani sono ad altezza bimbo.

Ho nostalgia del mio Alberto: lo chiamo e mi faccio raccontare il primo giorno di scuola.

E anche il secondo e il terzo, già che ci sono.

Mio figlio mi dice che la matematica è noiosa, e che le maestre non gli hanno ancora chiesto di raccontare le sue vacanze. Mi sa che il gene del cantastorie non salta una generazione, e il mio piccolo ha una voglia matta di narrare le tappe dei suoi viaggi.

Ci salutiamo col bacino della buonanotte, poi Mien e io torniamo a “casa”.

Non appena rimango da solo a godermi il silenzio e il ticchettio dei tasti, il telefono squilla.

Non ho bisogno di guardare il display per indovinare chi c’è “dall’altro capo del filo”, come si diceva un tempo. C’è una sola persona che mi chiama durante queste notti magiche e infinite.

E non fa altro che camminare con un pettorale addosso.

Segue lunga conversazione.

Stacco.

Sono le 23.41, e ho appena riagganciato.

Benny è arrivata, ce l’ha fatta.

No, non a Courma. È presto: è solo mercoledì.

Oggi, sulla finish line, arrivano soltanto i Giganti con la “G” maiuscola.

Benny è appena giunta a Gressoney. Siamo stati al cellulare per chilometri: era arrabbiata perché la strada non finiva più. Ed era comprensibilmente tesa, perché un anno fa ha percorso la stessa strada con la consapevolezza che sarebbero stati i suoi ultimi chilometri di TOR.

Allora giunse in ritardo sul cancello di un paio d’ore.

E un commissario recise il suo braccialetto giallo dicendole “Mi dispiace”.

Oggi, invece, Benny sbuffa, e si arrabbia perché la Sport Haus non compare più, e allora risbuffa, e mi chiede quanto manca. Io triangolo con Google Maps, azzecco un punto di riferimento, e le sputo un numero preciso: “500 metri. Mancano 500 metri e ce l’hai fatta”.

Benny entra in Base Vita e c’è suo fratello ad attenderla. E Andrea, insieme alla sua macchina fotografica.

Dodici mesi fa anche Mien e io eravamo là fuori. Ora siamo a due valli di distanza.

Mien dorme già.

Io scrivo, mentre fuori dalla finestra Champoluc tace.

E Benny, coi piedi stanchi, la schiena a pezzi e il cuore finalmente leggero, è felice sul serio, perché ha appena sconfitto il suo demone peggiore.

Il TOR è anche questo: cadere, riprovarci, spingere per un anno immaginando il riscatto. E poi, una notte di luna chiarissima, varcare la stessa soglia che ti ha visto sconfitta.

Varcarla con le lacrime agli occhi: da vincente, finalmente.

Per Benny il viaggio è ancora lungo.

E là fuori è pieno di imprevisti, si capisce.

Ma il demone è stato sconfitto.

Onore a te, rossa.

Ora riposa un paio d’ore e poi torna là fuori.

A dimostrare che niente può fermare la forza furibonda d’un sogno.

Aggiornato: Mer, 11/09/2019 - 18:31